Il persuasive copywriting non esiste. Anzi sì, ma non è quello che vi hanno fatto credere

Meno di qualche anno fa, ma sempre in misura preoccupante, arrivano in Scrittura.org richieste di testi scritti secondo la tecnica del “Persuasive copywriting“. Per chi non ne avesse mai sentito parlare, per “persuasive copywriting” si intende una scrittura che induca le persone, in modo quasi automatico, a compiere l’azione indicata nel testo. Ad esempio comprare un prodotto, iscriversi alla newsletter, diventare fan di una pagina Facebook.

Se c’è qualcuno che chiede questo tipo di testi, ci siamo detti, evidentemente c’è anche qualcuno, da qualche altra parte, che ha messo in giro la voce che esista realmente un modo scientifico, metodico e infallibile di scrivere testi che convincano le persone a compiere azioni. Quindi abbiamo deciso di chiarirci le idee e approfondire questo discorso per capire cosa e quanto c’è di vero nel “persuasive copywriting“.

Scusateci se la prendiamo un po’ da lontano: dalla Guerra di Troia, precisamente.

La reputazione di Elena

Gorgia, filosofo sofista della Grecia classica, è da tutti ritenuto l’inventore della Retorica, l’arte di persuadere con le parole. L’esempio più importante che Gorgia fa della potenza della retorica è contenuto nella sua opera “La difesa di Elena“. La Elena di cui scrive Gorgia è quella di Troia, che non ha mai goduto in Grecia di una buona reputazione perché da tutti ritenuta la causa della famosa guerra fratricida. Gorgia, andando contro tutti, scrive che la colpa della Guerra non è di Elena, quanto dell’abilità oratoria di Paride, che, grazie al potere irresistibile della parole, la ipnotizzò e la spinse a tradire il marito Menelao, che non la prese tanto bene. Da qui, la Guerra di Troia.

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Elena e Paride in un vaso del IV secolo.

L’arte della retorica

Gorgia riconosceva alla parola il potere di ipnotizzare l’interlocutore fino a fargli perdere la ragione. Aveva una fiducia senza limiti nella retorica, la stessa che sembra avere chi oggi pubblicizza servizi e corsi di formazione legati al “persuasive copywriting“. Non è facile spiegare cosa sia, anche perché chi pubblicizza questi servizi si limita a indicare fantomatiche tecniche attraverso le quali creare un testo capace di far fare al lettore quello che si vuole. Proprio come il cane di Pavlov, che salivava quando udiva il suono del campanello, per i fautori del copywriting persuasivo basta far leggere ad un utente alcune parole/frasi che queste magicamente compiono l’azione desiderata.

Il sogno di ogni azienda, non c’è che dire: peccato che non sia così. Come spesso accade, il passaggio dalle buone intenzioni alla pratica è abbastanza difficoltoso e al momento di spiegare quali siano queste frasi/parole/tecniche si resta molto sul vago. Ci proviamo noi.

Convincere

L’assunto di fondo con cui si cerca di spiegare il “persuasive copywriting” è: il testo di una pagina Web deve contenere parole e frasi in grado di spingere il lettore a compiere determinate azioni (cliccare su un link, acquistare un prodotto, iscriversi a una newsletter e così via). Fin qui, nulla di nuovo: quasi tutta la comunicazione d’impresa ha l’obiettivo di spingere le persone a compiere un’azione. 

Il copywriting, in particolar modo, è sempre persuasivo: se non lo è, non è copywriting ma qualche altra cosa. La scrittura pubblicitaria si differenzia dalle altre scritture (letteraria, poetica, giornalistica) proprio perché non si limita a intrattenere, informare, divertire ma cerca di modificare il punto di vista delle persone e quindi i comportamenti. La funzione persuasiva (o conativa) non è stata inventata dai fautori del “persuasive copywriting“.

È una delle funzioni fondamentali del testo e ha l’obiettivo di convincere il lettore ad accettare un’idea, una tesi personale, una particolare visione del mondo. Questa funzione è definita “conativa” perché viene dal latino “conari“, “tentare”, sforzarsi” in questo caso di convincere.

Ma se il persuasive copywriting è la capacità (non l’arte) di scrivere testi che spingono le persone a compiere determinate azioni, cosa lo differenzia dalla scrittura di una lettera commerciale, di un packaging di Marketing diretto, di un annuncio stampa, di uno script per il telemarketing e così via? Niente, semplicemente niente.

La moda della persuasione

Come è accaduto molte volte dopo la nascita del web, anche il “persuasive copywriting” è una moda. Ci sono stati i guru delle pagine lunghe e poi quelli delle pagine corte, quelli delle home page in flash e quelli dei siti senza neanche un’immagine. Oggi ci sono quelli che dicono di saper scrivere testi capaci di convincere le persone usando solo qualche frase fatta.

Come spesso accade, solo chi non ha mai fatto il copywriter o non ha mai scritto per la pubblicità, è sicuro che sia semplice convincere le persone a fare qualcosa “trasformando il vostro sito web di tutta una serie di caratteristiche che lo renderanno vincente, persuasivo, induttore di contatto, fagociterà utenti trasformandoli in clienti“. (Sic!)

Una critica al persuasive copywriting

Chi oggi pubblicizza servizi di persuasive copywriting lo fa ipotizzando che esistano e si possano apprendere, tecniche e frasi standard attraverso le quali convincere le persone a compiere delle azioni (comprare online, iscriversi ad una newsletter, etc.). Si pubblicizzano queste tecniche soprattutto quando si parla di Web; è un elemento importante e tra poco vedremo perchè.
Intanto, ci serve solo dire che persuasione è una faccenda molto più complessa di come viene presentata. Vediamo.

Esiste la scrittura persuasiva?

Per sgombrare il dubbio, bisogna prima di tutto rispondere a questa domanda. Esiste la scrittura persuasiva? Sì, esiste e quando si parla di scrittura persuasiva si fa quasi esclusivamente riferimento alla pubblicità. La scrittura pubblicitaria è la prima fonte di persuasione della nostra società ed ha un obiettivo principale: modificare la percezione che le persone hanno di un prodotto/servizio o di un’azienda, per aumentarne le vendite immediate o future.

Cosa rende la scrittura realmente persuasiva?

Chi scrive per la pubblicità sa che non basta qualche parola o frase per convincere le persone a compiere delle azioni. Bisogna prima di tutto modificare l’opinione che hanno del prodotto, e per farlo bisogna far arrivare loro delle informazioni. Lo si può fare attraverso due strade principali: la prima richiede uno sforzo di interpretazione dell’utente mentre la seconda fa si che le informazioni arrivino nella sua sfera percettiva in modo indiretto, quasi senza accorgersene.

La persuasione centrale e periferica

Con la prima la persuasione fa un percorso “centrale” mentre con la seconda la strada il percorso è “periferico”. Nel percorso centrale viene trasmesso il contenuto razionale del messaggio, cioè le informazioni sul prodotto che servono per convincere ad acquistarlo: è di ottima qualità, costa poco, è resistente, è garantito 2 anni e così via. Gli elementi periferici, invece, cercano di convincere le persone in modo indiretto ma tendono a fargli risparmiare energia mentale: ed esempio, una bella confezione colorata per un detersivo, una musica allegra in uno spot, l’immagine di una bella donna in un annuncio di cosmetici e così via. Si va per associazioni semplici, non ragionate.

Un annuncio che usa il percorso periferico invece di scrivere tutti le ragioni per cui una crema aiuta a ridurre la cellulite, si limita ad inserire l’immagine di un corpo femminile perfetto con una headline che recita “Anche tu senza cellulite, come Gloria Mancini, la grande star di Hollywood”.
Questo esempio ci introduce anche i 3 elementi attraverso i quali passa la persuasione:

  • Fonte
  • Messaggio
  • Destinatario

Ognuno di questi elementi può trasmettere o ricevere l’informazione in modo centrale o periferico. Vediamo.

Gli elementi della persuasione: la fonte del messaggio

Immaginate che un giorno bussi alla vostra porta una persona ben vestita, con in mano una costosissima valigetta di pelle e vi dica: “Mi scusi signore, posso fare una telefonata. Si è rotta l’auto e il mio cellulare ha la batteria scarica”. Probabilmente crederete a quello che dice e anche se non lo farete entrare in casa, quasi sicuramente gli presterete il vostro telefonino. Supponiamo che a bussare alla vostra porta e chiedervi aiuto sia una persona mal vestita, con i capelli sporchi e le scarpe rotte. Credereste che gli si è rotta l’auto e che ha la batteria del cellulare scarico?

Cosa dà valore alla fonte: esperienza e affidabilità

Sono 2 gli elementi che danno o tolgono valore alla fonte del messaggio: la credibilità e l’esperienza, che possono operare entrambe in modo diretto o periferico. È accertato che le persone di bella presenza sono considerate più affidabili di quelle con una presenza meno gradevole; uomini e donne con visi da bambini sono considerati più oneste di persone con tratti somatici da adulti. Un camice bianco basta a trasmettere esperienza, come avviene nel caso degli spot tv di dentifrici, prodotti ginecologici e così via. L’esperienza e l’affidabilità fanno, in questi casi, un percorso periferico. Questo vale soprattutto per le comunicazioni in cui l’immagine ha il ruolo principale, come il contatto personale, gli annunci stampa e gli spot. Ma cosa succede con il web?

La credibilità di un sito web

Come avevamo già descritto in un precedente articolo sulla credibilità dei siti web, da una ricerca organizzata dalla stessa Stanford University insieme a Computer Web Watch, (organizzazione no-profit che studia Internet) emerge un dato univoco: convincere i visitatori che le informazioni scritte sui siti siano credibili e veritiere, quindi ottenere la loro fiducia, è difficilissimo.
La credibilità è il risultato di molti fattori: incidono molto le testimonianze positive di persone che hanno già scelto i prodotti di quell’azienda. Dimostrare che dietro al sito c’è un’organizzazione reale e gente onesta ed affidabile, così come rendere semplice il contatto, indicando telefono, fax e indirizzo, aiuta quanto e come aggiornare i contenuti del sito web. Le persone danno più credibilità ai siti che vengono rivisti frequentemente. Un sito dall’aspetto professionale dimostra cura e rispetto per il lettore, così come rendere la navigazione semplice.

La credibilità aumenta con l’esperienza: un’azienda che produce dal 2005 è meno credibile di una che produce dal 1900. Se ci sono degli esperti del settore nella propria organizzazione, bisogna dirlo chiaramente. Bisogna dimostrare con case study ed esempi di lavori che l’esperienza c’è, dura da tempo e ha dato risultati ad altri clienti.

Gli elementi della persuasione: il messaggio

Abbiamo visto che sul web prevale un modello di elaborazione di tipo centrale: le persone leggono, confrontano, vanno a cercare altre informazioni sull’azienda. Consultano blog e forum, danno giudizi sulla scrittura e sulla grafica. Cercano di costruirsi un giudizio, su cui influiscono molti fattori, non semplicemente alcune parole o frasi. La costruzione del messaggio, quindi, non può limitarsi ad un ossessivo e ripetuto “Clicca qui” o “Non perdere questa straordinaria occasione”.

Gli elementi della persuasione: il ricevente

Il terzo elemento che smonta le tesi semplicistiche del “persuasive copywriting” è l’idea che uno stesso messaggio abbia un’eguale forza persuasiva per tutte le persone. La convinzione è che non solo esistono parole e frasi così potenti da indurre comportamenti immediati nelle persone, ma che queste valgono sempre, per un bambino o un anziano, per un uomo o una donna. Questa non è comunicazione: si chiama macumba o, se preferite, riti voodoo. Non è utile e semplice spiegare in poche righe i diversi modi in cui i consumatori possono essere classificati, dal punto di vista del marketing. Qui serve solo dire che le persone differiscono, l’una dall’altra. E per fortuna, non basta qualche parolina per convincerle a fare qualcosa. Se fosse così, ci sarebbe da preoccuparsi.

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La riproduzione del finto esperimento di Vicary.

I nuovi persuasori occulti? No, solo sciocchezze

Questa storia del “persuasive copywriting” ricorda molto quella dei messaggi subliminali. Alla fine degli anni ’60, un pubblicitario americano sull’orlo del fallimento (James Vicary ), affermò di essere riuscito ad aumentare le vendite di Coca-cola e popcorn proiettando immagini non percepibili consciamente durante un film in una sala. Nel 1962, lo stesso Vicary dichiarò che non solo non era vero, ma che non aveva mai condotto l’esperimento. Intanto, migliaia di aziende si erano già lanciate in campagne pubblicitarie piene di simboli, donne nude, parole e prodotti nascosti tra le immagini.

Nessuna azienda ha venduto un prodotto di più con queste tecniche che invece hanno arricchito molti pubblicitari improvvisati. Pensateci, quando qualcuno vi offrirà i suoi servizi di “persuasive copywriting“.